Benessere, consapevolezza ed equilibrio: la missione di mod-o
Continua il viaggio alla scoperta delle due nuove case della nostra Counseling School. Sabato 16 gennaio siamo stati accolti per la prima volta negli spazi di mod-o. Dalla Trieste di Laby saltiamo così dall’altra parte del Friuli Venezia Giulia, a Cordenons, a due passi da Pordenone e andiamo a scoprire un coworking tutto speciale.
mod-o è un gruppo multidisciplinare, dinamico e innovativo che si occupa di design, formazione, coworking e comunicazione.
Uno dei motivi per cui abbiamo deciso di scegliere mod-o come casa per la nostra Scuola, è il principio n. 1 contenuto nel Manifesto del Coworking Project, la rete nazionale cui mod-o aderisce: “Coworking”, senza le persone che lo praticano, è solo una parola.
Partiamo proprio da qui per chiedere a Gianni Barbon, anima e fondatore di questo spazio insolito e creativo, da dove nasce questa attenzione alla persona, tema molto caro al counseling in generale e a noi di PCS in particolare. Attorniati da strumenti di lavoro partecipativi, disegni di progetti, oggetti di design … e anche una fiammante Harley Davidson, ci mettiamo comodi e ascoltiamo curiosi la risposta.
Gianni: Siamo tutti coworker e in quanto tali la collaborazione è per noi una delle priorità di vita, indispensabile per poter fare networking e dare il meglio all’interno di una community. Attraverso la progettazione partecipata si raggiungono spesso risultati inattesi e si scoprono risposte inaspettate ed innovative.
Amiamo tenere un comportamento corretto e responsabile, gestendo la nostra libertà nel rispetto degli altri. Etica significa per noi anche scelte di vita responsabili, non solo nei confronti dei colleghi, anche rispetto al tema più ampio della sostenibilità.
Lo facciamo affinchè nel sistema che abbiamo costruito intorno a mod-o ci siano benessere, consapevolezza ed equilibrio.
Oggi si fa molto parlare di coworking, ma mod-o ha cominciato a lavorare in questa modalità già nel 2007. Ti va di raccontarci da dove veniva questa spinta?
G.: Alla fine del 2006 alcuni segnali deboli ci indicarono che la strada che avevamo percorso stava per finire, non abbiamo mai chiamato crisi quello che stava succedendo, ci siamo concentrati su cosa fare negli anni del cambiamento e così è nato il progetto mod-o.
Un progetto che dopo quattro anni è diventato un coworking, mod-o significa modalità operativa, per tutti coloro che sono saliti su questo treno è diventato importante come facciamo le cose e non più cosa facciamo, un cambio di paradigma sostanziale per fare impresa in un modo innovativo.
Quante persone gravitano attorno allo spazio? Di cosa si occupano? L’impressione, venendovi a trovare, è quella di un luogo dove è nata una community vera e propria.
G.: Lo spazio è uno strumento, le persone sono la vera forza di cowomodo, credo che nel 2015 saranno passate almeno una trentina di nuove persone, molte “rimbalzano” alcune restano per un po’, altre si fermano per un tempo più lungo, tra i vecchi coworker e i nuovi possiamo dire di essere almeno una cinquantina. Ci attriamo per un allineamento rispetto ai valori, le professioni sono le più disparate raccolte intorno all’area del progetto, della comunicazione e della formazione. Il mercato delle nuove professioni cresce e sono convinto che qualcuno ancora non sa bene come si chiama quello che sta facendo ma la cosa buona è che si trova il modo di collaborare, cooperare e fare impresa in modo molto liquido. Stiamo bene assieme e le nostre feste sono memorabili.
mod-o non è solo coworking, ci racconti le tante cose che fate?
G.: In ordine sparso ecco tutto quello che è passato dal cowomodo nel 2015: progettazione e realizzazioni d’interni, siti, video, grafica, progetto di prodotto, traduzioni, lezioni d’inglese, coching, plastici realistici, educazione ai nuovi media, scrittura collaborativa, attività a sostegno di comunità, marketing per le aziende, sviluppo di software per le imprese, app, prove di teatro, fotografia, social art.
Le alleanze sono state la forza del coworking degli ultimi due anni, grazie a questa capacità di contaminarsi a vicenda dall’estate è nato un tema trasversale e portante che abbiamo chiamato Change Community Model, il modello sviluppato con Dof per sostenere il cambiamento nelle piccole e grandi comunità, è un progetto nato d’estate che oggi è già attivo in alcune aziende del territorio. È sicuramente una delle più belle contaminazioni che il coworking ci ha regalato.
Prossimi passi? Cosa ti aspetti dal 2016?
G.: Consolidare le buone alleanze di questi ultimi due anni e far crescrere la community dei più giovani per preparsi al passaggio generazionale del 2020. Come? Con l’ascolto, con l’apertura rispetto alla conoscenza e con la volontà di intraprendere strade mai percorse.
Grazie Gianni, ci vediamo in aula. La prossima volta, intervista in sella